The Epistle to the Hebrews in the Roman Canon Missae.
Melchizedek and Other Features

Matthew S.C. Olver

Part one

Abstract

This article, which is divided into two parts (the second of which will appear in the next issue) attempts to demonstrate within a specific euchology the claim that Jean Daniélou made in his seminal study, The Bible and the Liturgy, namely, that liturgical texts are themselves an expression of scriptural interpretation or exegesis. This claim is explored in four key ways where the author suggests that the Epistle to the Hebrews is appropriated in the Roman Canon Missae. The first is incorporation of the phrase «eternal covenant» from Heb 13:20-21 into the Supplices te, an unusual feature that is always witnessed in the Codex Veronensis. The second is the introduction of the figure of Melchizedek into the preexisting Greek source material shared with the Alexandrian tradition, forming a triumvirate of Abel, Abraham, and Melchizedek—all of whom figure in important ways in the argument of Hebrews. The third is the use of the substantive adjective maiestatis, also in the Supplices te, taken from the unique use of the term Heb 1:3 and possibly 8:1, and echoed in 1 Clem. 36:2 and T. Levi 3:9. Finally, the use of the phrase sacrificium laudis from Heb 13:15, which draws on Ps 50[49]:14 and Ps 116[115]:14-18. While the figure of Melchizedek and the phrase sacrificium laudis are found in the Old Testament but are unique to Hebrews in the New Testament, the fact that they are textually related to the other two features of the Roman Canon that are completely unique to the in the Scriptures (maiestatis and «eternal covenant» in connection with Jesus) means that there is a preponderance of evidential weight that Hebrews exercised a decisive and singular influence on much of what distinguishes the Roman Canon from other early anaphoras.


Sommario

Questo articolo, che è diviso in due parti (la seconda uscirà nel prossimo fascicolo), cerca di dimostrare all’interno di un’eucologia specifica, l’affermazione che Jean Daniélou fece nel suo seminario di studi, The Bible and the Liturgy, ovvero che i testi liturgici sono loro stessi un’espressione della interpretazione o esegesi scritturale. Questa tesi viene esaminata in quattro punti principali con cui l’autore suggerisce che la Lettera agli Ebrei è adottata nel Canon Missae Romano. Il primo è l’incorporazione della frase «alleanza eterna» (Eb 13,20-21) nel Supplices te, una caratteristica insolita che è da sempre testimoniata nel Codex Veronensis. Il secondo è l’introduzione della figura di Melchisedec nel materiale greco originale preesistente e condiviso con la tradizione alessandrina, formando un triumvirato di Abele, Abramo e Melchisedec, tutti personaggi importanti nelle argomentazioni della lettera agli Ebrei. Il terzo è l’uso dell’aggettivo sostantivato maiestatis, anche nel Supplices te, ripreso dall’uso unico del termine in Eb 1,3, e forse 8,1, e ripreso in 1 Clem. 36,2 e in T. Levi 3,9. Infine, l’uso dell’espressione sacrificium laudis di Eb 13,15, che si rifà al Sal 50[49],14 e al Sal 116[115],14-18. Mentre la figura di Melchisedec e l’espressione sacrificium laudis si trovano nell’Antico Testamento ma sono elementi unici per la lettera agli Ebrei nel Nuovo Testamento, il fatto che siano testualmente correlati alle altre due caratteristiche del Canone Romano, che sono completamente uniche per le Scritture (maiestatis e «alleanza eterna» in relazione a Gesù), significa che c’è una preponderanza del valore probatorio relativo al fatto che la lettera agli Ebrei abbia esercitato un’influenza decisiva e singolare su gran parte di ciò che distingue il Canone Romano dalle altre anafore primitive.

Matthew S.C. Olver, (Duke Divinity School, MDiv; Marquette University, PhD), is Associate Professor of Liturgics and Pastoral Theology at Nashotah House Theological Seminary. From 2006-14, he was a member of the Anglican-Roman Catholic Consultation in the U.S. (ARC-USA).